Oltre 67mila posti in corsa per soli 9mila posti all’università. Uno scandalo: la selezione si deve fare durante i corsi, non può essere decisa da un quiz
La cosa che fa più impressione, fuori dal Forum di Assago dove ieri 3.380 studenti hanno eseguito il test per entrare alla Facoltà di Medicina dell’Università Statale di Milano, è che sembrava sulla porta di un liceo il giorno di un antico esame di maturità, e forse anche è la sensazione giusta. Di loro solo 350 “passeranno il turno”, e anche se saranno il 5% in più che nel 2017, restano sempre 1 su 10, come l’anno scorso. E i numeri nazionali sono paralleli: 67mila candidati per 9.779 posti. Ma la forca caudina a risposta multipla (60 domande in 100 minuti, quasi un gran premio), un senso ce l’ha? E qual’è? Solo gli ingenui pensano ancora che un bel quizzone sia la formula perfetta per dividere i buoni dai cattivi: in particolare quando si parla di un mestiere di importanza scientifica e di delicatezza umana assolute, nonché di futuri professionisti di cui abbiamo, in Italia, bisogno come dell’aria.
Il test, in sé, non sarà perfetto, ma non è affatto male: le domande erano concentrate su chimica, matematica, logica, solo due erano strambe, quelle di cultura generale: che cosa sono i frattali e qual’è la carta costituzionale più antica. Un sistema efficace quando si tratta di separare i geni dai somarissimi, mentre dà risultati alla viva il parroco per tutta l’area grigia degli studenti bravi o così così.
Esami e ricorsi
Il fatto è che i test di ingresso sono un controsenso: i rapporti, infatti, dicono che, di fronte a un Paese che invecchia e che quindi avrà sempre più bisogno di dottori, siamo di fronte a una pericolosa “denatalità” di nuovi medici: le stime dicono che, entro il 2023, 21.700 medici andranno in pensione, e già oggi quelli che lasciano la professione sono 7-800 in più di quelli che la cominciano. Ed è qui che il problema si complica, anzi diventa quadrato. Perché il vero muro contro cui sbatte il fabbisogno nazionale sono le scuole di specializzazione, l’ultimo passo prima di essere davvero pronti: ma per entrare ci vuole un nuovo test, di cui allora quello d’ingresso, che si era fatto a 19 anni, era solo una preselezione. Ogni anno 10mila giovani medici non accedono alle scuole di specializzazione: nel 2017, con 7.700 posti disponibili, si sono presentati in 17mila, quindi 2 su 3 sono rimasti fuori dalla formazione post laurea. Che cosa fanno, con una laurea che vale mezza? O vanno a finire gli studi all’estero o cambiano mestiere. Uno spreco enorme di denaro: per formare un medico ci vogliono 150mila euro di denaro pubblico. Nel 2014, 2.363 medici hanno fatto domanda di specializzazione fuori dall’ Italia, un aumento del 600% rispetto a 5 anni prima.
La beffa all’italiana è infine completa se si tiene conto che gli ultimi anni hanno dimostrato che il modo più sicuro per passare il test è fare ricorso, e già questo dice due cose: che il sistema è pieno di buchi, e che di posti per gli studenti ce ne sarebbero ben di più di quelli messi a disposizione. Nel 2014 il test fu contestato perché era sparito un plico di questionari, e 9mila ricorrenti vennero ammessi alla facoltà: per lo più, hanno poi proseguito gli studi regolarmente, quindi del tutto asini non dovevano essere.
Nel 2017, due avvocato hanno scoperto che 177 posti sono rimasti vacanti perché erano riservati agli extracomunitari, di cui però non si è vista ombra. Gli stessi avvocati, Michele Bonetti e Santi d’Elisa, hanno calcolato che il rapporto attuale tra la capienza degli atenei e il fabbisogno di medici consentirebbe l’accesso a 1.757 studenti in più. Quest’anno, secondo Consulcesi ,network legale di riferimento per aspiranti camici bianchi, le segnalazioni di irregolarità sono partite subito dopo la prova, e una prima stima dice che i ricorsi saranno il 40% in più dello scorso anno.
Questione soldi
Di fronte a una realtà chiara, il sistema grippa davanti alla solita questione di soldi. “Il numero chiuso prolifera non per fornire uno sbarramento meritocratico” dice Elisa Marchetti, coordinatrice nazionale dell’ UDU (Unione degli Universitari), “ma per assenza di finanziamenti, perché per ospitare più studenti ci vogliono più strutture e più personale e più docenti, e tutto questo costa“. “Per fortuna in Lombardia molti di quelli che se ne vanno a studiare all’estero, poi tornano, è una Regione che ha attrattive superiori alla media” ha commentato l’assessore lombardo al Welfare Giulio Gallera, “i posti in più di quest’anno sono un bene, ma il problema è rimandato. Io sono contro i numeri chiusi, non si possono fare spending review su istruzione e sanità“. E se copiassimo gli americani? “loro hanno escogitato un metodo efficace” dice Enrico Sartori, ordinario di ginecologia e ostetricia all’università di Brescia e direttore della scuola di specializzazione, “fanno fare agli studenti un anno propedeutico e poi procedono con la selezione: se non entri avrai comunque la strada aperta per altre professioni in campo sanitario“.